Quando hai detto si

Quando hai detto si

Un laboratorio che mi piacerebbe fare

Quando hai detto di si. Accogliere il nuovo fidandosi di se stessi e degli altri, sulla sottile soglia dell’ignoto. Un si che scioglie le barriere, che supera le differenze.

Viviamo in un tempo strano, un tempo che ci sembra di dover reinventare giorno per giorno, ridefinendo piste e direzioni, medicando urti e attriti. Un mondo che ci ha accolto e che per primo ci ha detto si. Un mondo che spesso però non riusciamo a guardare con serenità e fiducia.

Contraddizioni in termini.

Una frizione che si riverbera nelle vite di ciascuno e le rende a volte lontanissime a volte vicinissime.

Un leggero disagio che si avverte anche nel momento in cui incredibilmente si dice si

Si dice si ad una proposta, un incontro, una tendenza, un pensiero, una definizione, uno sguardo altro su di noi o per noi, ma anche all’assaggio di un nuovo cibo, la visione di un film sconosciuto, il perdersi in una nuova città.

Un momento cruciale nella crescita di ciascuno e non solo del bambino che dice il suo primo si, ancora piccolo, forse per compiacere gli adulti, per rendersi felice o semplicemente per affermarsi nella sua volontà di essere.

L’eterno rimbalzo del gioco del definirsi: chi sono io e chi sei tu?

Tra l’essere parte di… e l’essere in piena essenza di sé.

Un disagio che, nel momento in cui si dice si, rivela non solo le nostre differenze ma anche le nostre somiglianze, la nostra voglia di condividere e di mettere in comunione. Un dire si che a volte si dimostra più difficile da pronunciare del più diffuso e temuto no.

Si accolgono nuove vie prima semplicemente ignorate, si afferra una mano tesa colma di sorprese.

Un nuovo viaggio e una nuova ricerca.

Un laboratorio che mi piacerebbe fare. Quando hai detto si.




Il Tai chi chuan a Torino: un esempio di mediazione culturale

Il Tai chi chuan a Torino: un esempio di mediazione culturale.

Corsi e ricorsi della storia e della memoria.
12 marzo 1996.
La mia Tesi di Laurea sul Tai chi chuan

La prima Tesi di ricerca accademica sulla pratica del Tai chi chuan in Italia.
Dalle pagine preparate allora per un Concorso, poi vinto, un breve estratto:

 

                                                                                                                    Possa tu vivere in tempi interessanti
                                                                                                                                                                 antico motto cinese

La società che abitiamo e che viviamo presenta, sul finire di questo secolo, elementi di grande interesse e curiosità per tutti coloro, e non solo, che si interessano all’uomo e al suo rapporto con il “mondo” e nel “mondo”. I processi di diversificazione, moltiplicazione, diffusione dei fenomeni e delle “culture” rendono più facilmente manifestabili, raccoglibili, studiabili i nuovi “percorsi” che coinvolgono il soggetto nei suoi processi di socializzazione primaria e secondaria, di identificazione e di individuazione, di costruzione e strutturazione permanente della propria identità.

Il tentativo di porre attenzione alle nuove dinamiche culturali, frutto di un multiculturalismo sempre più variegato e multiforme, unito ad un affetto profondo per la Cina e il suo universo culturale, mi ha portato a rivolgere la mia ricerca al Tai chi chuan.

Il Tai chi chuan è una disciplina di origine cinese che abbina in sè movimenti lenti ed armoniosi tramandatisi nel tempo dall’antichità ad alcuni principi della filosofia taoista e della medicina cinese. Alcuni lo considerano di meditazione in movimento che collega il microcosmo individuale al macrocosmo universale attraverso l’esecuzione di movimenti morbidi di straordinaria bellezza formale. C’è qualcosa di indefinibile nella pratica di questa disciplina che sfugge a qualsiasi tentativo di descrizione.

La mediazione culturale, secondo questa ricerca, è un processo intrasoggettivo che si attiva quando l’attore sociale entra in contatto con un universo simbolico e culturale diverso dal proprio. La mediazione diventa espressione della permeabilità delle nostre società ed indica, se affrontata con modestia culturale, la interpenetrazione possibile dei differenti universi culturali dell’uomo a fronte di una cultura universale dell’uomo.

La specificità della ricerca ha reso necessario l’utilizzo di strumenti di indagine complessi (questionari, interviste semi-strutturate, schede di rilevazione dati) idonei alla raccolta dei dati necessari alla costituzione di una prima banca dati inedita sul Tai chi chuan.

Dai risultati della ricerca risulta piuttosto chiaramente che il processo di mediazione culturale in atto non riguarda solamente ed esclusivamente la cultura cinese e la cultura autoctona, di matrice occidentale. Sembra emergere la presenza di un terzo polo culturale che assume sempre più valore ed importanza. Un universo culturale che trascende le culture particolari e che si colloca in una dimensione “altra”. 

Riemerge forte la centralità dell’uomo e della sua ricchezza particolare, singolare, unica. Rinasce un nuovo umanesimo. L’Umanesimo di fine millennio.

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Perché documentare?

Cosa significa documentare e perché è così importante non dimenticarsi di documentare.

Quando tutti pensano di sapere il significato di una parola, questa smette di respirare, di vivere. Se penso di sapere già cosa sto facendo, smetto di interrogarmi, smetto di avere cura delle parole

Laura Formenti

Documentare: lavorare con le parole per le parole

È interessante, quando ci si avvicina a una parola nota e diffusa, come per esempio anche la parola documentazione, interrogarsi sul suo significato essenziale, sul messaggio che si pensa possa trasmettere universalmente e oggettivamente, cercando di verificarne la comprensione.

La ricerca sull’ermeneutica delle parole diventa una palestra interessante per scoprire dimensioni soggettive di senso e percezioni che si rivelano non condivise, narrate con questa o quella parola. Durante i corsi sulle tecniche di documentazione, tenuti nel tempo, il percorso inizia proprio dalla ricerca di un significato condiviso del termine documentazione, per comprendere meglio ciò che ognuno ritenga ne sia il senso.

Un patto di comprensione reciproca che si rivela utile durante il percorso da attraversare insieme, un accordo per definire il punto di partenza e per accertarsi del punto d’approdo. Quindi interrogare le parole insieme per “sperimentare quel loro essere incarnate dentro le nostre azioni, gesti, sensazioni, sentimenti” (Formenti, 2009), per riscoprirne il forte valore fondativo del nostro vivere insieme, per affidare loro un significato condiviso.

In quel contesto specifico, nel qui e ora, sia che si tratti di un percorso formativo, di un collegio docenti, di un incontro con un collega o una collega, di una riunione con le famiglie, di una stesura didattica, di un allestimento pubblico.

Interrogarsi sul che cosa si intenda per documentazione è il filo conduttore dell’articolo pubblicato sulla rivista Bambini (ed. Spaggiari) nel numero di settembre 2015 e ora disponibile per tutti on line al seguente link:

Perché documentare?




Laboratori di scrittura per tutti

Due laboratori di scrittura gratuiti per tutti.

Nel centro di Torino, in piazza Castello nello Spazio Agorà l’appuntamento ad Agosto è con due laboratori di scrittura aperti a tutti, previa iscrizione gratuita. Volete saperne di più? Ecco i dettagli.

Scritture Fritte Miste

AGORÀ A TORINO 2015 – appuntamenti per il PUBBLICO 19 agosto.

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Mescolare gusti e sapori, ricordi e segreti. Parole e pastelle, fritture e grassetti… vuoi provare?

A Torino, in piazza Castello nello Spazio Agorà i primi laboratori di scrittura gratuiti su Cibo e Scrittura. Insieme raccoglieremo e trascriveremo spunti, ingredienti e sapori delle nostre ricette preferite o dimenticate, scoprendo insieme quanto sia divertente scriverne.

Scritture Fritte Miste si terrà in occasione degli eventi collaterali di EXPO ospiti nella capitale piemontese nello Spazio Agorà, gestito dalla Compagnia di San Paolo e dal Comune di Torino. Il laboratorio di scrittura della durata di circa 2 ore e 30 minuti circa si terrà mercoledì 19 agosto dalle ore 16.00 alle ore 19.00. Si rivolge a tutti ed è ad ingresso libero, è necessario iscriversi per riservare il posto telefonando o scrivendo ai riferimenti dello Spazio Agorà. I posti sono limitati per consentire lo svolgersi dei laboratori di scrittura.

I laboratori di scrittura si rivolgono agli adulti; agli iscritti si richiede di portare con sé un piccolo taccuino.
INGRESSO GRATUITO SU PRENOTAZIONE: agoratorino2015@gmail.com0114322852
(dal 10 al 14 agosto le prenotazioni verranno prese esclusivamente via mail).

Scrivere Torino

AGORÀ A TORINO 2015 – appuntamenti per il PUBBLICO 26 agosto.

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Per chi non riuscisse ad iscriversi o non potesse, la settimana successiva, stesso luogo e stesso orario un altro dei laboratori di scrittura gratuiti. In quest’occasione il tema sarà Torino e la sua bellezza. Guardare e scoprire da torinesi la nostra città e scriverne in  piccoli appunti di viaggio. L’arte di fermare i frammenti dei luoghi a noi cari inizierà a disvelarsi in questo breve laboratorio e chissà che non nasca il desiderio di partire per il prossimo viaggio con penna e taccuino al seguito. Il  laboratorio Scrivere Torino ci porterà alla scoperta di luoghi inconsueti ed inediti della nostra città, reali o immaginari.

L’appuntamento in questo caso è per mercoledì 26 agosto alle 16.00 alle 19.00 sempre allo Spazio AgoràI posti sono limitati per consentire lo svolgersi dei laboratori di scrittura.

I laboratori di scrittura si rivolgono agli adulti; agli iscritti si richiede di portare con sé un piccolo taccuino.
INGRESSO GRATUITO SU PRENOTAZIONE: agoratorino2015@gmail.com0114322852
(dal 10 al 14 agosto le prenotazioni verranno prese esclusivamente via mail).

 




Perchè scrivere? La presa di parola

Il diritto di parola
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con le parole, lo scritto
e ogni altro mezzo di diffusione

Art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana

Scrivere per prendere la parola
È interessante osservare come nel corso degli anni alcune caratteristiche dei laboratori di scrittura si ripetano con una certa costanza, senza apparentemente essere condizionati dal contesto di realizzazione, dall’età dei partecipanti, dalla professione svolta o a da altre variabili definibili. Una di queste costanti è la difficoltà di prendere la parola.

Legittimarsi ad un atto che si pone alla base del nostro essere comunità democratica, dove tutti hanno diritto di parola, sembra essere ancora molto difficile.

In questo contesto, per molti, il laboratorio di scrittura diventa palestra di presa di parola, per alcuni sorprendentemente la prima palestra che gli sia stata offerta dai tempi della scuola. Ognuno ha il suo tempo per dire, per essere ascoltato e per ascoltare con attenzione. Si giocano le regole del codice comunicativo e per molti è la prima volta che ci si sofferma ad osservare la comunicazione, la sua punteggiatura, i suoi ritmi, i suoi tempi (Watzlawick, 1971).

Quando dalla parola si passa alla scrittura e poi alla lettura, gli scritti sono rinforzati e legittimati ulteriormente dall’esercizio della presa di parola. La scrittura diventa anch’essa strumento del diritto di parlare, di dire, di esprimere. Trovare le parole per dire (Cardinal, 2001). Una scrittura che non porta in sé l’esperienza di questa pratica, la consapevolezza dell’esercizio di questo diritto è una scrittura monca, incompleta, mancante di forza e di coerenza.

Nelle scuole e nei servizi educativi l’esercizio del diritto di parola è parte fondamentale nella gestione dell’istituzione stessa ma anche nell’organizzazione della pratica didattica. Un insegnante attento alla propria presa di parola, capace di esercitarla, sarà un adulto in grado non solo di praticare il proprio diritto di parola ma di educare gli altri, che gli sono stati affidati, al rispetto e all’esercizio di questo diritto.

La scrittura e la sua pratica si connettono così fortemente all’esercizio della pratica democratica ed inizia ad intravedersi il forte senso etico che attraversa questo medium espressivo.

Ci racconta Laura, una volontaria della memoria che ha raccolto la storia di Caterina: “… un ulteriore elemento interessante è stato dato dalla consapevolezza di poter dare voce a ricordi, emozioni che altrimenti non l’avrebbero avuta, … in tal senso la raccolta di autobiografie ha una forte valenza sociale” (Silvestro, 2002). Scrivere per ordinare il proprio pensiero, per esprimere il proprio punto di vista, comunicarlo agli altri, osando. “Prendere la parola e mostrarsi” (Arendt, 1988). Scrivere per esercitare un diritto democratico, per prendere ed offrire la parola. “Il mondo cresce attraverso le storie” (Mascagna, 2002) ci ricorda Ivano Mascagna, volontario della memoria.
“Le persone come Emilia che hanno contribuito a formare le radici e le basi del mondo attuale, anche se sembra che questo ora le rifiuti, hanno diritto di far sentire la loro voce, e tutti noi il dovere di conservarne la memoria” (Brunetti, Ravecca, 2002) ci ricorda Luciana Spinardi, volontaria della memoria che ha raccolto la storia di Emilia, donna e contadina di Langa.

Per approfondire:

Watzlawich P. (1971), Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio Ubaldini, Roma.
Cardinal M. (2001), Le parole per dirlo, Bompiani, Milano.
Arendt H. (1988), Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano.
Mascagna I. , Silvestro S. (2002), “Il mondo cresce attraverso le storie”, in Ravecca M. (a cura di), Le nostre storie e le storie di altri, Centro Interculturale della Città di Torino, Torino.
Brunetti C., Ravecca M. (a cura di) (2002), Ti regalo una storia. Un’esperienza di volontariato autobiografico, Fondazione Ferrero, Alba.