La panchina

di Manuela Ravecca.

Satoschi Yonehara mi accompagna, fa caldo. Finite le lezioni del mattino decidiamo di andare in giro per Pechino, camminare e camminare, sentire e respirare la città.

È di Hiroschima, Satoschi, viene da quella città simbolo, martoriata dagli uomini e dal ricordo di tanta cattiveria. È un giapponese anomalo, mistico. Dopo aver visitato Pechino vuole andare in Tibet, là cerca il respiro che dà pace e tranquillità. Il senso delle cose, buone e giuste.

È il mio compagno di banco, studia molto e a volte mi aiuta, quando la lingua cinese diventa così ostile, per me che, unica italiana allora, ne affronta lo studio direttamente dall’inglese.

Siamo arrivati nel parco del Tientan, il Tempio del Cielo, la cupola blu accarezza le chiome degli alberi, ogni cosa pare in armonia, non si odono suoni se non naturali.

E là ci aspetta la nostra panchina, il nostro cinematografo all’aperto, la nostra platea sul palco della vita. Il teatro si anima di personaggi: bambini con le retine che cercano di catturare le cavallette porta fortuna, vecchi, ancora nelle divise blu o grigie, che giocano a dadi o a dama o a domino, gruppi di uomini e donne che lentamente si muovono attraversando l’aria con le forme del Tai chi, persone di tutte le età che passeggiano con le palline della salute tra le mani, facendole roteare con antica e sapiente abilità. Il suono cristallino che nasce dall’incontro e dallo scontro delle palline decorate porta lontano da quella panchina, da quel parco, da quel luogo, profuma di monasteri e medicina, di preghiera e di gioco. Un viaggio nel viaggio.

Passa il tempo, corre rapito dalle immagini che scorrono lievi e dense davanti a noi: colori, voci, suoni, volti, costumi, profumi indimenticabili e mai dimenticati.

Il testo ha vinto il Premio della critica al concorso Racconti in cammino  a cura del Nordic Walking Live di Carpi, nel novembre 2014.

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